I pirožki. Nostalgia di Russia

Ecco, questo sì che è un piatto pieno di ricordi di Russia. Primo tra tutti, il treno. Lo scompartimento a quattro, il vagone con il bollitore d’acqua in fondo e la provodnica, una sorta di capovagone, una zia-mamma che si occupa di tutto, regina e massima autorità del microcosmo che ti cullerà per parecchie ore: è lei che ritira i documenti, porta le lenzuola, prepara il tè ecc. Così tu ti metti in ciabatte e in tuta e ti lasci cadere in uno stato di beata, minorile irresponsabilità (non hai neanche più il passaporto).  Qualunque cosa si faccia o non faccia, sei giustificato: stai viaggiando, non c’è bisogno di altro. Il primo atto dovuto, se non è l’una di notte, è tirar fuori le provviste. Non importa se il convoglio non è ancora uscito dalla stazione moscovita. Tutti tirano fuori e offrono qualcosa. Certo ognuno si sbizzarisce (noto che il pollo arrosto è tra i piatti più gettonati). Ma è indubbio che i pirožki ben confezionati in caserecci sacchetti di plastica fanno la parte da leone. Misura della tua popolarità o dell’affetto dei tuoi amici. Se hai i pirožki nella sportina vuol dire che non sei solo. Qualcuno ti ama.

La biblioteca Lenin, ora Biblioteca Russa Statale (RGB)

Oppure i caotici anni Novanta. Niente di niente al buffet della biblioteca, broda innominabile alla mensa nel maleodorante sotterraneo bibliotecario. Ma noi che entravamo nella Leninka alle 10.30 di mattina per uscirne alle 8 di sera ci nutrivamo senza problemi.

Babuške infagottate nei loro spessi fazzoletti di lana si appostavano fuori dal minaccioso portone (le più ardite entravano nell’atrio, per un po’ hanno lasciato fare, ma non è durato molto) e vendevano pirožki multigusto, tutti avvolti in strofinacci, ancora caldi di forno: cavolo, carne, patate o, quelli dolci, ricotta, albicocca secca, mela… Bastava portare da casa una bustina di tè e spillare dal samovar della mensa un po’ di acqua bollente, kipjatok, e il pranzo era fatto. Si poteva variare ogni giorno perfino.

Questa è la mia versione, a furia di tentativi per riprodurli:

Ingredienti

Per la pasta

600 g di farina 0

2 uova

60 g di burro fuso ma non troppo caldo

100 ml di acqua tiepida

75 ml di latte

1 bustina di lievito di birra disidratato

1/2 cucchiaino di zucchero

1/2 cucchiaino di sale

Per il ripieno al cavolo

500 g di cavolo cappuccio

1 cipolla

2 cucchiai di olio d’oliva (o burro)

sale

Per il ripieno alla carne

400 g di carne trita

1 grossa cipolla

2 cucchiai di olio d’oliva

sale

1 tuorlo per spennellare

Impasto tutti gli ingredienti della pasta nel mixer, lavorando per qualche minuto. Aggiusto i liquido (la giusta consistenza dipende anche dalle uova), controllo che la pasta sia né troppo molliccia né troppo secca. Io mi accorgo che è pronta quando una parte si attacca al perno centrale del mixer e l’altra forma tante bricioline elastiche che vanno per il contenitore. Faccio una palla e la metto in un luogo caldo a riposare ben coperta con un foglio di pellicola o uno strofinaccio umido (vicino al calorifero o nel forno acceso al minimo per qualche minuto e poi spento. Attenzione NON troppo caldo, altrimenti il lievito non lavora correttamente. Dopo un’ora, se mi ricordo, vado a trovare la mia pallina e la lavoro ancora un po’, sgonfiandola. In tutto dovrebbe lievitare almeno due orette, se è più tanto meglio.

Intanto preparo i ripieni che non sono due ma TRE, perché parte dei pirožki li faccio con tutti e due i ripieni.

CAVOLO. Affetto fine fine il cavolo cappuccio e la cipolla e li metto a stufare una decina di minuti a fuoco basso. Regolo di sale e faccio raffreddare.

CARNE. Affetto fine la cipolla, la soffriggo nell’olio e poi aggiungo la carne trita. C’è chi lega con un uovo. Facoltativo

Su di un piano infarinato  stendo la pasta in una sfoglia di 4-5 mm di spessore e ritaglio dei dischetti di 10-12 cm (io uso una scodella Rozenthal, regalo di nozze, noblesse oblige!, ma ci sono anche ottimi tagliapasta o bicchieri atti allo scopo…)

Sistemo al centro di ogni dischetto una cucchiaiata di ripieno e lo ripiego a a mezzaluna, pizzicando i bordi e sigillando meglio premendo con i rebbi di una forchetta.

Sistemo su una teglia rivestita di carta da forno, spennello con l’uovo e inforno a 180°-190° (dipende dal forno, il mio, ventilato, a 180°) per 15 minuti circa, quando sono dorati.

Quando sono cotti, ancora bollenti, li tiro fuori e li metto in una pentola rivestita di uno strofinaccio. Chiudo bene con il coperchio e li lascio intiepidire così. Questo è il mio segreto: il vapore li rende morbidi e non secchi. Io non divido i diversi ripieni, così ognuno non sa cosa prende e cosa mangia.

Una volta una cara amica russa ce li ha fatti fritti. Una delizia, ma ha lavorato non so quanto.

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