Cosa si porta dalla Russia un’italiana golosa? Caviale, vodka, storione e šampanskoe? No di certo, anche se qualche scatolina di caviale rosso ci scappa (quello nero mai, non bisogna mangiarlo, a parte il prezzo, bisogna lasciarli nascere questi storioni). Io mi porto dolcetti (cioccolatini “Ottobre rosso”, pomadka e zefir vari), ma soprattutto fegato di merluzzo (per l’orrore dei più) e aringa. Sì: aringa, la regina delle chiacchierate in cucina, la compagna dei bliny poveri, quando il caviale è finito, il viatico verso un altro sorsetto di vodka, l’amabile che va d’accordo con tutto, patate, smetana, cetriolini, mazzi di aneto e altre erbette verdi, cipolline dolci e meno dolci.
L’aringa che si trasforma in una dama di gran classe e per le feste, a Capodanno in particolare, si riveste di pelliccia.
Lo so che le aringhe non hanno bisogno di pellicce con questo caldo. Ma si tratta del mio piatto russo preferito, la mangerei tutti i giorni e con l’aringa che mi ha comprato Ženja (“ehi, Candi, non vorrai comprare l’aringa già sfilettata e disliscata, ma lo sai che lo fanno con l’acido?”) e che mi sono portata sottovuoto in valigia da Mosca non potevo non provarci. Mi perdonino tutte le massaie russe e tutti i culturi di filologie gastronomiche varie. Ho tentato di essere precisa, ma mi sono anche concessa licenze quasi imperdonabili. Per esempio, ho usato la barbabietola già cotta al forno. Qui da noi non si trova facilmente cruda. E comunque per la prima volta me la sono fatta a casa. E gli altri non sono nemmeno scappati. L’hanno mangiata (a parte l’allergico di casa). Ed è perfino piaciuta.
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